Da 650 mila a 300 milioni di euro, grazie a una fede incrollabile nell’analisi dati: la storia di Matthew Benham e del Brentford FC.
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Nella primavera del 2015 mi capitò di intervistare l’allora direttore sportivo del Watford, Gianluca Nani, per calcioefinanza.it il sito a cui stavo lavorando nei miei primi anni a Manchester.
Tra le altre cose gli chiesi:
Conoscendo il calcio inglese nei livelli inferiori alla Premier League, c’è un club che si sente di indicare come società del futuro?
Qui l’organizzazione viene prima di tutto e le società sono molto solide, ma se c’è un modello che mi sento di indicare è quello del Brentford. E’ arrivato fino alle semifinali di Championship grazie a grande organizzazione societaria: nel giro di poco tempo possono fare il salto. Hanno un modello organizzativo notevole basato sull’utilizzo dei dati che evidentemente è molto proficuo.
Personalmente conoscevo il Brentord, e qualche settimana prima ne avevo scritto per calciomercato.com. La mia passione per i numeri non mi aveva lasciato indifferente davanti ad un modello decisamente innovativo.
Meno di un decennio fa, il Brentford – che oggi naviga nella parte sinistra della classifica di Premier League – era in difficoltà finanziarie.
Poi un giocatore d’azzardo professionista ha investito circa 650 mila euro nel club, diventandone proprietario nel 2012.
Quell’uomo era Matthew Benham, e questa è la sua storia.
Matthew Benham è sempre stato una persona molto riservata. Sono pochissime le sue interviste. Ma se volesse avrebbe davvero tanto da raccontare.
Si è laureato in Fisica a Oxford nel 1989, ed ha trascorso i successivi 11 anni lavorando in vari ruoli nel mondo assicurativo e dell’investment banking.
Poi nel 2001, Benham ha accettato un lavoro come trader per Premier Bet, imparando da uno dei giocatori d’azzardo di maggior successo al mondo: Tony Bloom.
Matthew Benham e Tony Bloom in realtà non andavano molto d’accordo, i rapporti si ruppero per dissidi tra i due, ma quando Benham lasciò Premier Bet, nella sua testa era c’era una sola fissazione: non sarebbe tornato all’investment banking.
Voleva essere uno scommettitore sportivo professionista.
Non è chiaro quanto Benham abbia guadagnato attraverso il gioco d’azzardo sugli sport, ma nel 2004 ha creato Smartodds, un fondo attraverso il quale raccogliere capitali ad alto rischio da investire in scommesse sportive.
Il concetto era semplice: Benham avrebbe utilizzato per i suoi clienti gli stessi algoritmi, statistiche e ricerche di dati che lo avevano reso fin lí uno scommettitore sportivo di successo.
L’attività ebbe un enorme successo e Benham continuò ad investire nel settore.
Ad oggi tra le sue aziende figura anche Matchbook, un popolare sito di scommesse sportive.
Il Brentford FC
Matthew Benham non era solo un appassionato di algoritmi, statistiche e dati, ma anche un tifoso del Brentford FC. Fin dalla nascita, avendo poi assistito alla prima partita dal vivo a 11 anni.
Per questo, quando il club ha dovuto affrontare problemi finanziari nel 2007, Benham si è fatto avanti.
I tifosi del Brentford si sono uniti per acquistare il club, rendendo il Brentford FC il primo club professionistico di Londra di proprietà dei tifosi. Ma con un problema: gran parte del denaro utilizzato per acquistare il club arrivava da un “investitore misterioso”.
Dietro questo mistero, successivamente, si è rivelato esserci Matthew Benham.
Il fatto é stato chiaro a tutti, quando pochi anni dopo i tifosi hanno deciso di non rimborsare i prestiti. Era il 2012 ed a Benham è stata data l’opportunità di acquistare il club, diventando l’unico proprietario della sua squadra d’infanzia.
A differenza di altre persone facoltose che acquistano club inglesi di livello inferiore, investono in giocatori, personale e risorse e sperano di ottenere la promozione in Premier League, Matthew Benham aveva un’idea diversa.
Voleva utilizzare l’analisi dati per realizzare un modello gestionale unico nel suo genere.
Il club laboratorio
Benham ha speso quasi 10 milioni di dollari per acquistare un club più piccolo in Danimarca, l’FC Midtjylland, e testare i suoi concetti analitici. Decisiva in tal senso la sinergia con Rasmus Ankersen, attuale direttore sportivo del Southampton.
Ai tempi Ankersen era soprattutto un brillante giovane, autore del libro “The gold mine effect”, uscito in quello stesso anno, il 2012, in cui il manager danese allora 29enne, racconta il suo modello per scovare talenti e puntare sulla loro crescita.
Benham aveva un piano chiaro.
Il Midtjylland sarebbe stato un laboratori dal quale trasferire al Brentford le idee funzionanti, scartando invece quelle rivelatesi inefficienti.
I primi passi non furono semplici, con il licenziamento di diversi membri dello staff, e l’immediato coinvolgimento di professionisti dalla mentalità più analitica, che tuttavia mancavano di esperienza tradizionale.
Il club, su indicazione di Benham, ha smesso di preoccuparsi esclusivamente di vittorie e sconfitte. Nel frattempo sono stati sviluppati una serie di indicatori chiave di prestazione (KPI) per misurare i progressi.
Tra gli altri il Brentford FC ha iniziato a considerare più da vicino i “gol attesi” – basati sulla qualità e la quantità di occasioni create durante una partita – piuttosto che sul numero di gol effettivamente segnati da un giocatore.
Ciò ha permesso di trovare in giro per l’Europa giocatori sottovalutati, o inefficienze di mercato, che potevano entrare, giocare ad alto livello, aiutare il club a vincere ed essere spostati per profitti record.
Ecco alcuni esempi (fonte):
Benham ha investito 3,8 milioni di euro in Said Benrahma, vendendolo poi al West Ham per 40.
Ha pagato 2,3 milioni per l’attaccante Ollie Watkins, vendendolo all’Aston Villa per 36.
Per Neal Maupay ha pagato 2,1 milioni, vendendolo al Brighton per 26.
La politica dei giovani
Mentre i migliori club del mondo stavano investendo milioni di sterline nelle loro giovanili, il Brentford FC ha deciso di eliminarle completamente, puntando tutto su una “squadra B” di ragazzi dai 17 ai 20 anni andando a pescare giocatori scartati da altri club.
Come mai?
Secondo uno dei modelli di Benham servono almeno 35 partite prima di determinare il valore di un calciatore con buona approssimazione e un’idea di prospettiva, ma le squadre più ricche del mondo non hanno il tempo, la pazienza o le infrastrutture adeguate per farlo.
Essendo un piccolo club disposto a sperimentare, il Brentford lo ha fatto.
Benham ha acquistato l’unica cosa che gli altri sembravano non potersi permettere: il tempo.
I risultati non sono stati immediati, ma un decennio dopo, con l’approdo del Brentford in Premier League per la prima volta in più di 70 anni, l’approccio analitico ha chiaramente dato i suoi frutti.
Il vero impatto finanziario della promozione in Premier League dipenderà da quanto tempo il Brentford FC potrà rimanere nella massima serie inglese.
Il modello inglese, è ormai sotto gli occhi di tutti, non è clemente con chi retrocede e non riesce a risalire. Il paracadute – ovvero la quota diritti tv che si incassa nell’anno successivo alla discesa – non risulta essere particolarmente efficiente.
I casi di Wigan, Blackpool, Sunderland, Bolton e altri, tutti ridotti sul lastrico se non addirittura falliti, non lasciano ulteriori dubbi.
Il Brentford anche qui sembra voler ragionare in controtendenza.
Si è salvato al primo anno di Premier League, come fa il 40% dei club promossi, guadagnando 140,4 milioni di euro (fonte: calcioefinanza.it).
Ora potrebbe andare al raddoppio visto che anche nel 2022/23 la salvezza sembra ampiamente alla portata. Probabilmente migliorando la 14esima posizione del primo anno ed entrando in top ten, anche se pare proibitivo un passaggio in Europa.
Matthew Benham credeva che l’analisi fornisse un vantaggio unico per una ragione esattamente opposta a quella che solitamente si sente evocare per dire che nel calcio le statistiche non servono.
Il calcio é uno sport a basso punteggio che è stato storicamente distorto dalla casualità e dalla fortuna.
E qui torna il concetto di tempo: potendo fare piani di lungo periodo, Benham ha puntato su macronumeri più affidabili proprio perché non legati alla casualità dei 90 minuti ma alle più solide indicazioni che si traggono nel lungo periodo.
Con la promozione in Premier League, ancor più che negli anni precedenti, il Brentford ha dimostrato di avere imboccato la strada giusta.
Sarà interessante vedere come il successo di Brentford possa potenzialmente spostare il concetto a lungo creduto secondo cui le equazioni basate sull’analisi non possono determinare il successo nel calcio professionistico.
Da qualche anno esiste un modello virtuoso. Il Brentford FC.