Liga vs Serie A: perchè loro vincono in Europa e noi no

Giovani, investimenti all’estero, continuità tecnica e turnover: i dati del CIES confermano il circolo virtuoso che permette al campionato spagnolo di essere quello più vincente a livello europeo.

Il dato è noto, ma si conferma e consolida nel tempo: anche quest’anno la Liga Spagnola è tra i campionati in cui vengono schierati maggiormente i giocatori cresciuti nel vivaio, secondo la classificazione del CIES (che considera “nel vivaio” coloro che hanno passato in un determinato club almeno 3 anni dai 15 ai 21).

Ne parlai in un video di qualche mese fa sul mio canale Youtube e il trend non è cambiato, anzi.

Dall’inizio della stagione i giocatori cresciuti nei settori giovanili hanno giocato il 19,1% dei minuti disponibili nella Liga e solo il 5,7% in Serie A. 

Il contesto generale è chiaro: l’Italia è simile alla Premier League (7,1%) e alla Bundesliga (7,4%) che non brillano in questo particolare, mentre la Liga si pone allo stesso livello dei campionati che più sfruttano i settori giovanili ovvero quelli di Danimarca, Bielorussia, Slovacchia, Norvegia e Svezia. Tutti mercati di sviluppo e vendita con scarsa competitività europea.

Il dato si impone all’attenzione ogni volta che qualcuno nel retorico dibattito calcistico si chiede come essere più simili all’Inghilterra, un campionato economicamente di un altro pianeta, anzichè pensare alla Spagna come modello.

Ne avevo scritto in una recente newsletter menzionando in quel caso le lamentele infondate nei confronti degli investimenti sauditi sul calciomercato.

Quello che dobbiamo chiederci – scrivevo – è piuttosto perché negli ultimi dieci anni ovvero dal 2014 ad oggi (ultime dieci edizioni di Champions ed Europa League) 7 club spagnoli hanno ottenuto 21 piazzamenti nelle prime 4 e 13 coppe in totale, contro 6 club inglesi arrivati 18 volte in semifinale per 5 coppe vinte in totale.

E la risposta inizia da questo dato: la Spagna fa giocare i prodotti dei suoi vivai 3,35 volte in più rispetto all’Italia.

Al contempo i club spagnoli hanno chiuso con un disavanzo di mercato (dato Transfermarkt) che negli ultimi 5 anni è stato pari alla metà di quello italiano (-225 contro -563 milioni).

E dentro le scelte di mercato spunta un altro dato ancora: negli ultimi 5 anni i club spagnoli hanno speso 3 volte meno di quelli italiani per acquistare giocatori all’estero.

Ed al momento la Serie A conta il 61,3% di stranieri totali (più della Premier League con 60,6% giustificata però dal fatto di poter scegliere giocatori più cari e quindi genericamente parlando, più forti) mentre la Liga si ferma al 37,5%.

A questo possiamo aggiungere un altro aspetto: la continuità tecnica, ovvero la capacità di programmare effettivamente lo sviluppo di un progetto tecnico-tattico e consolidarlo nel tempo.

E qui esce ulteriormente il divario tra chi pianifica (spagnoli) e chi parla soltanto (italiani).

Innanzitutto la allenabilità delle squadre: la Spagna ha mediamente 25,1 giocatori per rosa, la Serie A 26,8. Che potrebbe sembrare poco ma è un dato aggregato che ci dice che in Serie A ci sono 535 giocatori e in Liga  502, una rosa e mezza in più di gente che tendenzialmente non gioca.

Quindi il turnover: quest’estate (come spesso accade) la Liga ha cambiato il 32,5% dei giocatori contro il 40,9% della Serie A. Un dato ulteriormente confermato dal fatto che mediamente un giocatore rimane in una rosa di Serie A 23,3 mesi contro i 30,9 mesi della Liga.

Insomma, alla base ci sono motivazioni economiche ed anche tecniche, ma attenzione: sarebbe un errore imporre il modello spagnolo per legge. Quello che accade nella Liga è un fatto prima di tutto culturale, uno sport da sempre abituato a fare soprattutto con quel che si ha (l’esempio tipico: negli anni 90 Hagi e Martin Vazquez lasciavano il Real Madrid per giocare al Brescia e al Torino) contro il nostro campionato che è istituzionalmente fondato sull’idea che se alla tua squadra manca qualcosa la dovrai comprare al mercato.

Chiudo menzionando la stessa newsletter che ho ripreso prima.

L’errore peggiore sarebbe quello tutto italiano di pensare di imporre un modello per via legislativa. Purtroppo, volenti o nolenti, o i nostri club cambiano la loro vocazione sportiva spontaneamente, con convinzione, sposando per scelta un modello diverso, o il calcio italiano – incapace di competere economicamente con le superpotenze mondiali – sarà condannato ad un declino ancor più marcato.

Sono le differenze di un calcio basato sulla creazione del talento (quello spagnolo) rispetto ad un calcio basato sull’acquisizione del talento sul calciomercato (quello italiano). Un calcio, quest’ultimo, che finisce la propria egemonia il giorno in cui il mercato ti volta le spalle e non sei più quello che si presenta all’appuntamento con il portafoglio più capiente.

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