La Serie A a 20, 18, 16 squadre e perché

Il tema centrale non è quello di quante squadre mettere in Serie A ma quello di riformare la piramide del calcio italiano.

Impensabile che il campionato continui ad avere 20 formazioni iscritte, la B 20 e la C, 60. Non è questione di numeri, ma di credibilità che consenta l’affermazione dell’equa competizione, ci sono società che pagano e rischiano di non centrare i propri obiettivi, altre che non pagano e magari mantengono la categoria. La Serie A è un contribuente significativo di fiscalità, è un obiettivo comune quello di far funzionare la macchina.

Lo ha detto il ministro dello sport Andrea Abodi al convegno “Sport Industry Talk”, organizzato da Rcs Academy e da Il Corriere della Sera.

Gli ha fatto eco il presidente FIGC Gabriele Gravina.

Purtroppo sono anni che prepariamo progetti basati su dati oggettivi, è evidente che 100 squadre professionistiche è un unicum e non è accettabile. Con Casini ci siamo già confrontati, nessuno può pensare di non dare alla Lega di A come motrice del calcio italiano una sorta di golden share nel numero di squadre. Tolta l’autonomia della Lega di A nell’autodeterminarsi, l’idea della riforma riguarda altre componenti. Non è un problema aritmetico, il concetto della riforma debe passare dai concetti di sostenibilità e sviluppo. La riforma deve passare attraverso il dialogo tra le componenti, deve puntare a un discorso di filiera. Il danno è il sistema delle retrocessioni, oggi si ha più paura di retrocedere che altro.

Per una volta vorrei provare a non dire a Gravina che lui è lì dall’ottobre 2018 e che in 5 anni non si è mosso nulla. Vorrei anche evitare di ricordarmi che Gravina venne eletto in precedenza alla presidenza della Serie C con un programma che – per motivi elettorali – non prevedeva la riduzione delle squadre.

Vorrei, ma non posso non ribadire per coerenza che a mio giudizio basterebbe questa inefficienza per chiederne le dimissioni (altro che risultati della Nazionale, che c’entrano nulla col suo mandato politico), il tutto senza dimenticare che un anno fa davo atto allo stesso presidente del fatto che nonostante l’eliminazione dal Mondiale in Qatar (qui e qui) i conti della Figc tengono.

E allora non lo farò, ma mi permetto di suggerire alcuni concetti da tenere sulla strada della riforma.

Il tema centrale non è quello di quante squadre mettere in Serie A ma quello di riformare la piramide del calcio italiano.

Una volta stabilito che il problema è di sistema, non di una sua parte, bisogna togliere di mezzo i puri esercizi stilistici sui numeri ed andare ai due argomenti chiave: la distribuzione dei diritti tv e la difesa del valore economico del titolo sportivo di un club.

Diventa quindi inutile disquisire di Serie A a 16 o 20 squadre se non si stabilisce prima quale è il perimetro di suddivisione dei diritti tv. E qui ci viene in aiuto il modello tedesco che prevede una distribuzione su due livelli (Bundesliga e 2.Bundesliga, 18 squadre ciascuna) e una lega unica.

I due grandi errori dell’ultimo ventennio di calcio italiano furono il passaggio a 20 (dopo il caso Catania) e la divisione A/B.

Se si vuol tornare all’origine vanno superati entrambi.

L’altro tema è: quanto ci vuole in caso di fallimento per risalire la piramide?

Prendiamo il caso Parma 2015. Fu più conveniente ripartire dalla D anziché salvare il club con 20 milioni in Serie B.

Questo semplicemente perché il livello inferiore è troppo alto e si presta a scommesse che si possono vincere in 3-4 anni risparmiando sull’esborso iniziale (il salvataggio del club nella categoria in cui è potenzialmente ammesso).

Dopo di che il problema non è quante squadre stanno in C o in D, ma quanti anni ci vogliono a salire dal quarto, quinto, sesto livello del calcio. E con quale regime fiscale.

Questo é ciò che va chiarito prioritariamente. Il resto sono chiacchiere da bar tra i nostalgici degli anni 80 che votano 16 squadre e quelli degli anni 90 che ne vorrebbero 18.

Con una raccomandazione: qualsiasi sia la soluzione finale si riduca percentualmente il numero di retrocesse da un livello all’altro (attualmente 15% dalla A alla B), per favorire un gioco più sperimentale e meno rischioso. Sarebbe un altro toccasana.

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